la cultura Etrusca tra mitologia e religione
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La civiltà etrusca attribuiva enorme importanza alla religione, sia nella vita privata che in quella pubblica; una spiritualità e una devozione totale, che trovava la sua massima espressione nella perfezione con cui venivano osservati i rituali religiosi.
La cultura etrusca era incentrata sul concetto di predestinazione, secondo il quale la vita di ogni essere vivente sarebbe scritta dagli dèi fin dalla nascita. Per questo, l’arte divinatoria ricopriva un ruolo fondamentale poiché permetteva agli uomini di prevedere il proprio destino attraverso l’interpretazione di segni e fenomeni naturali specifici.
L’aruspicina, in particolare, era una pratica fortemente diffusa nella cultura etrusca: consisteva nell’interpretazione dei segni divini attraverso lo studio delle viscere animali, del fegato in particolar modo, poiché considerato “sede della vita”.


Tra i reperti archeologici che restituiscono la testimonianza concreta dell’arte divinatoria etrusca, il Fegato di Piacenza occupa un posto di rilievo perché rappresenta una preziosissima mappa che ci consente di ricostruire la complessa visione cosmologica dell’antico popolo italico.
Si tratta di una piccola scultura in bronzo, ottenuta con la tecnica della fusione piena a cera persa, realizzata in Etruria settentrionale tra la fine del II e la prima metà del I secolo a.C., quando l’Etruria era ormai sotto il dominio romano e nella pianura padana prosperavano le colonie, tra cui Placentia.
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Approfondimenti
Nel 1877 un contadino, durante lavori di aratura a Settima di Gossolengo, pochi km a sud di Piacenza, rinvenne uno strano oggetto in bronzo coperto di scritte incomprensibili.
I primi studi, incoraggiati dal conte Caracciolo che lo donò al Museo, ne decretarono la straordinaria importanza. Quello che oggi è noto come Fegato di Piacenza costituisce, infatti, uno tra i rari documenti diretti dell’Etrusca Disciplina, insieme alla tegola di Capua e alla mummia di Zagabria, due antichi calendari con prescrizioni rituali.
Secondo la tradizione il corpus della dottrina religiosa fu rivelato al popolo degli Etruschi da Tagete, nipote di Giove, un fanciullo con l’aspetto e la saggezza di un vecchio, emerso dal solco tracciato da un contadino a Tarquinia.
Il Fegato di Piacenza riproduce a grandezza naturale il corrispondente organo di una pecora. La superficie superiore è occupata da iscrizioni in lingua etrusca, inserite in 38 caselle, presenta tre sporgenze anatomiche schematizzate: la cistifellea (vesica fellea), il processus pyramidalis, di forma appuntita, e il processus papillaris, emisferico.
La faccia convessa, invece, presenta una nervatura detta ligamentum coronarium che lo divide in due lobi.

Lo schema generale prevede un ampio nastro perimetrale diviso in sedici case, una specie di rosa di sei caselle sul lobo sinistro, una scacchiera di otto case sul lobo destro, quattro case sulla vesica fellea e le restanti quattro case al centro.
Grazie a questa sorta di mappa, l’aruspice poteva interpretare deformità, patologie o macchie presenti sul fegato della vittima sacrificale come messaggi da parte di una specifica divinità.
Sul Fegato di Piacenza si colgono influssi di pratiche divinatorie orientali in due tratti curvilinei incisi nel settore sinistro. Tali segni anatomici, denominati, in testi di epatoscopia babilonese, manzâzu (la presenza) e padânu (il sentiero), erano considerati indispensabili per l’ispezione dell’organo.
In aggiunta, il nastro suddiviso in 16 caselle che circonda il modello del fegato, crea una corrispondenza con le sedici sedi celesti in cui gli Etruschi credevano che gli dei risiedessero. Il Fegato di Piacenza, pertanto, non solo costituisce una mappa dell’epatoscopia etrusca, ma registra anche la simmetria con la geografia celeste, secondo la teoria della corrispondenza del microcosmo e del macrocosmo nel disegno dell’universo.
L’oggetto mostra un prezioso quadro del pantheon etrusco, che ha una formazione complessa e stratificata. Di alcune divinità associate alle forze della natura e dell’oltretomba rimane incerta la funzione e sconosciuto l’aspetto.
Chi erano gli Dėi venerati dagli Etruschi?
Dopo l’interpretazione del presagio divino, si poteva sfuggire al destino che gli dèi avevano scritto per ciascun individuo?
Di fronte alla volontà divina l’uomo non si poteva opporre! Ciò che gli era concesso, però, era la possibilità di offrire sacrifici e riti propiziatori per chiedere di intercedere e modificare un destino infausto, come testimonia il Kouros etrusco rinvenuto a Chiavenna Landi!
Si tratta di un bronzetto di manifattura etrusco-settentrionale della seconda metà del VI secolo a.C., caratterizzato da un’eleganza formale derivante dal recepimento del modello del kouros greco-ionico.

Il suo ritrovamento nei pressi di una polla d’acqua, che possiamo interpretare come templum naturale, ci porta a considerare il bronzetto di Chiavenna come un’offerta a divinità che si immaginavano abitare le profondità del sottosuolo, con una possibile connotazione infernale.
Approfondisci il Kouros di Chiavenna Landi
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